AL NOSTRO DOMENICO TAZZA.

Commemorazione di un collega amico.

Pubblicato sul Bollettino dell’Ordine dei Medici della provincia di Perugia N.3-4/2011.

Non è certo facile trovare il giusto equilibrio per ricordare la figura di Domenico.
Le sue doti, il suo valore, il suo livello professionale e di umanità  erano tali che ogni descrizione, ogni valutazione corre il rischio di essere approssimativa e di far torto a quello che Lui veramente era. Non spetta a me, certo, parlare di Domenico come medico del pronto soccorso… Sicuramente i colleghi che condividevano lo stesso ruolo e lavoravano a fianco a fianco con Lui potranno essere molto più esaurienti, comunque, le testimonianze su quello che faceva sono moltissime e tutte quante concordano nel descriverlo come un medico abilissimo dal punto di vista clinico e che “ ci metteva tutta” l’anima e l’umana disponibilità nel prendersi cura dei pazienti. Sempre preciso e sempre al corrente di tutto. Nessuna legge o leggina che riguardasse l’attività sanitaria gli sfuggiva, per non parlare poi della competenza informatica!
Credo di non essere smentito da nessuno nell’affermare che l’informatizzazione dell’attività del pronto soccorso del policlinico di Perugia sia in gran parte merito suo.
A me piace commemorarlo, però, ricordando un episodio della nostra storia professionale avvenuto nella prima metà degli anni ottanta, non ricordo l’anno preciso. A quei tempi l’assistenza domiciliare integrata, la terapia palliativa erano dei concetti di là da venire ed ogni medico di famiglia si ingegnava e si organizzava come meglio credeva. I pazienti in fase terminale erano gestiti il più delle volte in proprio, con l’aiuto di infermieri “privati” che seguivano le nostre istruzioni. I ricoveri in ospedale venivano attivati, come ancora oggi può succedere, per “far riprendere fiato” alla famiglia del malato ed anche a noi stessi. Il presidio terapeutico che andava per la maggiore era l’infusione di liquidi per fleboclisi che era praticata in maniera molto disinvolta, con un’evidente funzione più antropologica che medica e capitava spesso di arrivare al capezzale del morente insieme al sacerdote: io somministravo il mio viatico e lui il suo. Per farla breve. I familiari di quella paziente non volevano assolutamente ricoverarla in ospedale, ma insistevano nel fatto di dover far comunque
“ qualcosa” anche se io replicavo che oramai non era più possibile nemmeno reperire una vena  e che anche l’infermiere più esperto aveva negato il proprio intervento. Mi scappò detto che per infondere ancora liquidi si doveva scoprire una vena con il bisturi, ma occorreva un chirurgo e andava eseguito in ospedale. Non l’avessi mai fatto, fui aggredito dall’insistenza e dalle suppliche della famiglia e, vuoi per la mia incapacità di allora a dire di no o perché sotto sotto covava un mio narcisismo inconscio, ecco che telefonai a quel “ gigante biondo” che mi aveva fatto conoscere da poco un amico comune e che si era detto disponibile per prestazioni di piccola chirurgia. Ci trovammo insieme a casa della paziente, dopo essersi lavati come fanno i chirurghi ed avere indossato guanti e camici sterili, con tanto di mascherina e cuffia, la vena venne abilmente preparata ed incannulata da catetere così da poter infondere a volontà.
Mentre dismettevamo gli abiti da” sala operatoria” ci venne chiesto l’importo dell’onorario e lui rispose: “L’ho fatto solo per fare un favore ad un collega amico” e si congedò. Non nascondo che mentre salivamo in automobile gli manifestai tutto il mio disappunto: avevamo impiegato quasi un pomeriggio, avevamo anche speso soldi per l’acquisto del catetere, del materiale da medicazione e poi eravamo dei professionisti……..La sua risposta fu senza parole, solo un sorriso con quello sguardo che può capire solo chi lo ha conosciuto e non ho parlato più.
Ogni persona ritorna in mente con l’immagine di quello che lo ha caratterizzato  e quando penso a Domenico mi si formalizza sempre la stessa immagine: due occhi azzurri dallo sguardo triste. Caro Mimmo come facevi ad essere così pacato e così discreto? Ti ho visto sempre disponibile e pronto verso i pazienti, verso i colleghi, sempre equilibrato e misurato anche nei momenti conviviali, quando molti di noi, me compreso, perdevano i freni inibitori. Mai una volta ti ho visto inquieto, anche quando, all’Ordine dei Medici di cui rivestivi la carica di presidente del collegio dei revisori dei conti, in occasioni di confronto sulla politica professionale si evidenziavano divergenze e disparità di opinione difficili da superare.
All’ultima riunione del Consiglio dell’Ordine dei Medici, il posto alla mia sinistra che di solito tu occupavi, all’inizio della seduta era rimasto vuoto in maniera quasi imbarazzante. Nessuno aveva il coraggio di occuparlo come se tutti avessimo saputo che sarebbe stato impossibile sostituirti ed all’unanimità e con gli occhi lucidi si è deciso d’ora in avanti di dedicare alla tua memoria il premio per la migliore tesi di laurea dell’anno.
Sguardo triste disarmante, ecco come mi sei venuto subito in mente, quando sono stato informato del tuo incidente e della tua morte e l’angoscia che stava montando si è paradossalmente lenita nel vedere  la tua splendida famiglia: Adelaide tua moglie e i tuoi tre meravigliosi figli. Il vedere come si comportavano, con quale coraggio e determinazione stavano affrontando quel terribile momento è stato ed è di esempio per tutti noi. Che altro aggiungere? Un po’ di silenzio, quel silenzio eloquente di cui il tuo sguardo era capace.
Chi eri.
Adelaide
Mi è stato chiesto di raccontarti, sinteticamente dire chi eri.
Basterebbe una parola nell’accezione più globale del termine: eri un uomo.
Un uomo che si è laureato in Medicina e Chirurgia nel 1979, ha svolto l’attività di volontario presso la clinica chirurgica di Terni con il professor Luigi Moggi, ha conseguito la specializzazione in chirurgia generale, mantenendosi i primi anni con il servizio festivo e notturno di guardia medica a Terni. Nel 1983 hai seguito un corso sulla diagnostica ad ultrasuoni per il sistema vascolare negli Stati Uniti e sei poi stato assunto preso il Pronto soccorso di Monteluce prima, continuando poi la tua opera nell’organizzazione della nuova struttura del Santa Maria Della Misericordia.
Mi piace ricordare che il nostro pronto soccorso sia stato fra i primi ad essere informatizzato anche grazie alla tua opera;  attualmente eri dirigente medico responsabile dell’OBI.
Questa però è solo una parte del tutto, costituito anche da un impegno sociale costante: MEDICI PER CASO, CRI; dell’amore per la cultura, OICOS, associazione filosofica nata a Bastia; per la natura, eri infatti un cacciatore, di quelli che amano confrontarsi alla pari con gli animali.
Ma soprattutto eri un marito, un padre, un figlio, un amico sempre sorridente e disponibile.
Eri e sei per tutti noi Mimmo.
Righe lette in occasione della S.Messa al primo anniversario della scomparsa 
Mi corre l’obbligo di onorare per prima cosa un dovere istituzionale, quello di portare ad Adelaide e a tutti i familiari di Domenico i saluti e un  messaggio di continua solidarietà da parte di tutto il Consiglio dell’Ordine dei Medici  della Provincia di Perugia, di cui anche Domenico faceva parte.
Poi volevo parteciparvi alcune considerazioni e valutazioni partendo però un po’ da lontano.
Quando si commemora qualcuno, si tende di solito a fare una sintesi, una descrizione che in maniera più o meno succinta riesca a cogliere l’essenziale  positivo, le parti migliori di una vita. Perciò solitamente si fa l’elenco di quelle caratteristiche che meglio, perdonatemi il giuoco di parole, hanno caratterizzato in positivo quella persona. Pertanto per Domenico gli attributi che necessariamente sono stati e vengono usati sono: buono, preparato, profondo, umano, gentile, abile, buon padre, bravo marito e potremo fare senz’altro un elenco lunghissimo. Ma saremmo esaustivi e completi? Senza dubbio la risposta è no.
Oggi giorno per descrivere un uomo, una persona, in maniera esauriente, non possiamo limitarci ad una lista di aggettivi ed attributi, ad una descrizione cioè di singole parti pretendendo poi in maniera riduzionista  di raccontarlo tutto 
per intero, no, il discorso è senza dubbio molto più complesso. Per poterlo narrare si dovranno descrivere tutte le interazioni,  tutte le relazioni che questo soggetto intratteneva, perché è oramai è accettato in maniera quasi unanime che noi non esistiamo come enti autonomi, distaccati dal contesto e dal mondo che ci circonda, ma siamo parte di una realtà con cui interagiamo e che modifichiamo con la nostra relazione e a nostra volta siamo modificati dalla realtà stessa. E’ una specie di meccanismo tipo feed-back per cui siamo, per intenderci, contemporaneamente spettatori ed attori. Che voglio dire con questo? E’ presto detto. Proviamo per qualche attimo a riflettere su tutte le interazioni che aveva Domenico: la famiglia d’origine, Adelaide, i figli, il Pronto Soccorso, i colleghi, gli amici, le associazioni che frequentava, la comunità di Bastia stessa. Pensiamo come Domenico abbia influito in queste realtà con la sua presenza ed il suo agire e, cosa impossibile, però ci proviamo ugualmente, adesso pensiamo come se Domenico non fosse mai nato, non fosse mai esistito, come sarebbero queste realtà e queste persone…… ovviamente i figli non esisterebbero, ma come sarebbe Adelaide che donna sarebbe? I suoi genitori? Come sarebbe il Pronto Soccorso dell’Ospedale Silvestrini se Mimmo non vi avesse mai lavorato? come sarebbero i suoi colleghi? Forse quanta gente non sarebbe più in vita perché non si sarebbe dato l’intervento terapeutico efficace del dottor Tazza? Come sarebbe la comunità di Bastia e come saremmo tutti noi, qui presenti se non avessimo mai interagito con Domenico? Non ho ovviamente risposte da dare, ognuno ci pensi dentro di sé. La conclusione che mi viene più spontanea in questo momento è quella che ho adoperato nel bollettino dell’ordine dei medici . Che altro aggiungere? Un po’ di silenzio, quel silenzio eloquente di cui lo sguardo di Mimmo era capace.
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Tiziano Scarponi

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