Relazione tenuta alla IV vacanza studio AIEMS “Approcci sistemici alla risoluzione del conflitto nelle relazioni umane.
Relazione tenuta a Monteluco di Spoleto il 24 agosto 2015 in occasione della IV Vacanza Studio AIEMS .” Approcci sistemici alla risoluzione del conflitto nelle relazioni umane”
CONFLITTO E CONCERTAZIONE NELLA RELAZIONE FRA MEDICO DI MEDICINA GENERALE E PAZIENTE.
Medico di medicina generale, medico di famiglia, medico di base, medico generico…..di solito, quando un qualcosa o un qualcuno può essere appellato in tanti modi vuol dire che non è né carne né pesce. Vuol dire che manca di una specificità, può essere inteso e interpretato in tanti modi.
Ovviamente, se l’attributo principale è generale, non possiamo aspettarci qualcosa di diverso, se è generale, non può essere specifico o particolare…..ma giuochi di parole e paradossi a parte, essere medico di medicina generale significa essere medici in una modalità particolare, senz’altro diversa dal medico che lavora in ospedale o da qualsiasi altro specialista.
Se chiediamo a chicchessia chi è e che fa un cardiologo o un urologo abbiamo più o meno delle risposte simili, tutte centrate sull’organo del corpo umano di competenza e sulla disciplina che ne deriva, ma se chiediamo a dieci persone chi sia e che faccia un medico di famiglia avremo dieci risposte diverse. Perché questo?
Perché la mia è una disciplina, se la vogliamo chiamare ancora così, che origina per una parte da un paradigma scientifico codificato, ma per gran parte anche da una conoscenza e da un sapere difficilmente codificabile in maniera univoca in quanto poggia sulla ” relazione”. Appare pertanto scontato che ogni risposta che avremo rifletterà il tipo di relazione, o meglio, come sarà stata vissuta la relazione con il proprio medico di famiglia.
Non mi piace di solito cercare di “ingabbiare” la relazione medico-paziente, il rapporto che si instaura tra curante e curato in degli stereotipi comportamentali che si ripetono in modo quasi fisso ed ossessivo….sappiamo tutti troppo bene come ogni incontro, ogni consultazione rappresenti un fenomeno irripetibile che si dà una volta sola, ma per comodità esplicativa ricorrerò ad alcune esemplificazioni di massima che troviamo in letteratura. ( Tab.1)
MODELLI DI RELAZIONE MEDICO-PAZIENTE ( Tab.1) ( Emanuel 1992)
MODELLI
|
PAZIENTE
|
MEDICO
|
modello paternalistico
|
ha opinioni e valori sulla salute analoghi a quelli proposti dal medico. Accetta o non accetta tutto quello che gli viene proposto
|
E’ un controllore che viglia sulla salute del paziente stabilendo il suo percorso motivandolo o meno
|
modello informativo
|
ha i suoi valori sulla salute e sulla malattia fissi e consapevoli , sceglie e controlla le cure proposte dal medico
|
E’ un tecnico competente che informa adeguatamente sulle possibili scelte.
|
modello interpretativo
|
E’ conflittuale sui propri valori di salute, si aspetta spiegazioni e chiarimenti. Il pz deve acquisire autoconsapevolezza, altrimenti non segue il percorso indicato
|
Interpreta i valori di salute in cui crede il pz, porta alla luce conflitti e stimola la presa di coscienza. E’ consigliere e consulente ( counselor)
|
modello deliberativo
|
E’ aperto allo sviluppo ed alla revisione delle proprie credenze sulla salute e malattia
|
Amico e maestro, informa il paziente e discute con lui le scelte, ne indica i pro e i contro, precisa la propria posizione senza imporla, ma sostenendola: accetta le decisioni del paziente
|
Mi piace pensare come questi modelli proposti non siano dei copioni precedentemente scritti ed individuati in maniera fissa, ma che siano delle recite a soggetto che scaturiscono in maniera spontanea dall’incrociarci delle dinamiche e dal relazionarsi dei nostri attori tenendo conto poi di tutte la variabili che di solito intervengono.
CONFIGURAZIONI RELAZIONALI
LE TRE AREE D’INCONTRO
MEDICO-PAZIENTE
Mi piace sempre, poi, vedere come le aree d’incontro e le configurazioni relazionali siano rappresentate dai dei cerchi in continuo movimento per cui il terreno esplicito in cui viene esposto il problema da parte del paziente e quello preferenziale d’incontro cambino continuamente, perché è proprio dalla rigidità e dalla fissità dei modelli e delle configurazioni relazionali che può nascere un conflitto.
A ben pensarci, infatti, riflettendo anche in maniera abbastanza superficiale su questi modelli relazionali, vengono facilmente desunti i motivi e le occasioni di contrasto e conflitto tra medico e paziente. Si pensi ad un medico che con modalità paternalistica tenti di gestire un paziente acculturato, malfidato e che vuole essere documentato su qualsiasi atto. Oppure un altro paziente che riferisce un problema da lui ritenuto di area clinica e il medico risponde con l’area psicologica…
Questi aspetti possono riguardare più o meno tutte le categorie di medici che pratichino attività di cura, ma in medicina generale il problema è molto più pressante in quanto entrano in giuoco delle problematiche che non esito a definire “strutturali” della relazione.
Un paziente acuto, pensiamo ad un soggetto ricoverato in unità coronarica per un infarto del miocardio o in degenza postoperatoria per un intervento chirurgico, ha poche possibilità di relazione in quanto di solito la terapia è di breve durata, nelle acuzie lo stile di vita è coinvolto per poco tempo, richiede una minima consapevolezza in quanto la responsabilità quasi totale della cura spetta al medico. Il rapporto medico-paziente che si instaura è quello del genitore-bambino. Il percorso di cura è centrato sulla malattia ed il medico assume più o meno consapevolmente una modalità prescrittiva, direttiva, paternalistica se non autoritaria e il suo approccio è quello bio-medico classico. Il paziente recita di fatto un ruolo passivo e completamente dipendente dal medico anche se per legge, è di norma informato con tanto di consenso scritto.
In medicina di famiglia, di solito, si respira tutt’un’altra atmosfera. Noi non abbiamo pazienti, ma assistiti e già il cambiamento di nome è inferente. Assistiti che possono essere malati, ma non necessariamente, e che vengono nel nostro ambulatorio portando tutto il loro bagaglio di conoscenza profana sulle malattie derivante dalla loro famiglia, dalle loro esperienze indirette di patologia di colleghi, parenti, amici. Aggiungiamo che sono, siamo, figli del nostro tempo con tutte le virtù e vizi : la cultura giovanilistica della vita con la rimozione della vecchiaia e persino della morte che spesso inculca la pretesa di voler guarire tutto e subito e l’idea di una medicina totipotente che sia in grado di trovare una pillola per la risoluzione di qualsiasi problema. In Medicina Generale, inoltre, la relazione di tipo asimmetrico che si deve instaurare comunque nel rapporto medico-paziente, non è per nulla scontata per una serie di motivi. Primo fra tutti è l’assistito che sceglie il medico secondo dei principi che non sono stati mai studiati, ma che hanno senza dubbio la loro importanza. E’ sempre poi l’assistito che decide quando, come e perché consultare il medico. Durante la visita, poi, è sempre l’assistito che decide che cosa riferire e che cosa enfatizzare o minimizzare dei propri problemi e poi è sempre l’assistito che può rispettare o meno le indicazioni ricevute.
Il rapporto medico paziente nella patologia cronica: un setting specifico della medicina di famiglia come intervento nel cambiamento degli stili di vita e l’autogestione della propria malattia nel senso dello sviluppo dell’empowerment e resilienza.
Nell’accezione della psicoterapia, Empowermentsignifica incremento delle proprie competenze mediante l’esperienza di sé e delle proprie potenzialità (learning by experience). L’empowerment si consegue con l’attivazione del processo di conoscenza dell’altro basato sul coinvolgimento, la comprensione empatica e il senso di responsabilità. E’ mutuato dalla psicologia sociale, di comunità e del lavoro, e rappresenta una proposta innovativa nel campo della learning organization, basata sulla responsabilizzazione individuale, sulla capacità attiva di ciascun individuo di solving problem, sulla partecipazione, sul realizzare una organizzazione “a misura d’uomo”, per promuovere il “fattore umano”, dando a ciascuno ampie possibilità di realizzare il proprio potenziale.
Il Programma di Autogestione delle Malattie Croniche nasce in California a metà degli anni ’70. L’educazione dei pazienti cronici sta iniziando a muovere i primi passi per darsi una base teorica e metodologica, sulla spinta di una rivendicazione di partecipazione e autonomia nelle scelte riguardanti il corpo e la salute, promossa dai movimenti che animano la società statunitense, primo tra tutti il movimento femminista. Solo il malato può essere esperto nel valutare le conseguenze della malattia nella sua vita e gli effetti delle cure, osservare la propria condizione e riferirne dettagliatamente al medico (Kate Lorig). Kate Lorig, all’epoca all’inizio della sua carriera universitaria a Berkeley, sviluppa un Programma per l’Autogestione dell’Artrite, con l’obiettivo di fornire ai pazienti strumenti per gestire l’impatto della malattia sulla propria vita.
L’empowerment, è concetto e pratica la cui complessità non può essere trascurata in quanto richiede un cambiamento di paradigma rispetto al modo in cui la medicina viene tradizionalmente praticata. Aujoulat, d’Hoore, and Deccache hanno identificato due dimensioni chiave necessarie allo sviluppo dell’empowerment del paziente: una trasformazione personale del paziente e una relazione interpersonale di co-creazione con gli operatori sanitari. In altri termini coinvolgere i pazienti nella loro cura richiede di più che fornire materiale e suggerire che facciano domande, richiede una trasformazione della dinamica personale tra paziente ed operatore, oltre che del sistema di offerta.
I principi fondamentali dell’empowerment
• La relazione tra medico e pz è basata sul principio di libertà e di responsabilità.
• Il pz è colui che risolve i problemi e decide la cura,
• il curante è una risorsa al suo servizio e lo aiuta in questo compito.
• I cambiamenti non realizzati non vengono considerati degli insuccessi,ma come mezzo di apprendimento.
Nella Conferenza di Varsavia del settembre 2011, Wonca Europa ha deciso di includere fra i compiti del medico di famiglia l’empowerment del paziente
Caratteristiche della malattia cronica sono che non guarisce, necessita di una terapia continua che comprende di solito moliti farmaci. Lo stile di vita viene radicalmente sconvolta, richiede molta consapevolezza e il responsabile della cura è il paziente stesso. Nella malattia cronica il rapporto medico-paziente è quello di adulto-adulto. Vi è una partnerschip ed una strategia che deve essere condivisa e partecipata. Il ruolo del paziente è attivo ed in dipendente ed il ruolo del medico deve assomigliare molto a quello dell’educatore, consulente e facilitatore. Il medico oltre che di una competenza scientifica necessita anche quella psicosociale e pedagogica poiché il suo approccio non è più bio-medico in senso stretto ma bio-psico-sociale.
La malattia cronica deve necessariamente prevedere la presa in carico del paziente con la disponibilità ad utilizzare la relazione come strumento per facilitare la sua autonomia e responsabilizzazione nella cura ( se ciò e possibile).
Sono convinto che questa realtà “strutturale” non sia ben chiara a molti colleghi che per formazione ricevuta all’Università sono abituati a interagire con i pazienti in modo del tutto impersonale e tecnico, come coloro che si occupano della riparazione di una macchina, pertanto la possibilità di conflitto è sempre dietro l’angolo. Il conflitto, pertanto, quasi sempre deriva dalle criticità relazionali: il non capire i bisogni e le aspettative dei pazienti, il fallimento nel riconoscere i loro aspetti simbolici o fenomenologici ( Anstett 1980). Il medico in generale, ma soprattutto il medico di famiglia, deve imparare a ragionare con il proprio assistito in un’ottica di complessità reciproca ( aspetti relazionali, irrazionali, motivazionali) e metabolizzare il concetto che il conflitto
è un aspetto che è sempre presente nelle relazioni umane e che se individuato e gestito può diventare un volano per il cambiamento e diventare ” generativo” come è nell’accezione etimologica: cumfligere che significa soffrire insieme e pertanto rimanda ad un incontro che ricerca attraverso un travaglio reciproco la risoluzione del problema.
I motivi di conflitto sono tanti a partire, come abbiamo visto, da una differente opinione sulla malattia e sulla salute. Il consumismo sanitario crescente che vuole essere sempre soddisfatto, la diversa valutazione sui tempi di un processo di cura, un atteggiamento aggressivo e pretenzioso. Il non dare il giusto valore agli atti medici: una per tutti, la completa ignoranza da parte dei pazienti sulla valenza legale delle certificazioni ( sono solo pezzi di carta), sino ad arrivare ad un vero e proprio conflitto di “potere” allorché il paziente ” vuole ” dettare ordini ed esige obbedienza.
I conflitti qualche volta possono derivare anche da noi stessi medici. Anche noi siamo emotivamente coinvolti e abbiamo preferenze, simpatie ed antipatie nei confronti dei nostri assistiti. Il rapporto è sempre bidirezionale e le ansie, le angosce dei pazienti, soprattutto se non sono decodificati e metabolizzati generano a loro volta in noi ansia, irritazione e talora vera e propria rabbia. I pazienti che ci sono sempre molto difficili da “digerire” sono quelli che non sono capaci di assumersi alcun tipo di responsabilità nella gestione dei propri problemi di salute e non riescono ad adattarsi ai cambiamenti derivanti dalla loro patologia. Gli eterni immaturi, che hanno sempre paura, sempre fretta e che negli altri individuano la causa dei loro problemi, ma allo stesso tempo sempre dagli altri ne aspettano la risoluzione. Il grande problema è che molto spesso noi medici non siamo sempre consapevoli dei nostri sentimenti nei confronti dei pazienti ma questa consapevolezza è fondamentale per capire ed orientare il conflitto e fino a quando questo non avviene, rischiamo di reagire in maniera compulsiva o accettando passivamente qualsiasi pretesa o rifiutando in maniera aggressiva qualsiasi tentativo di conciliazione e negoziazione.
E’ quindi chiaro come soprattutto in Medicina Generale il conflitto sia inevitabile, pena diventare degli acritici esecutori degli ordini dei propri pazienti. L’importante è riuscire a non trasformarlo in contrasto distruttivo mantenendosi in una posizione di confronto corretto con una giusta dose di riflessività e flessibilità. La parola d’ordine dovrà essere:” Dal conflitto alla negoziazione”.
Per creare le opportune condizioni di una buona attività negoziale:
1) Il capire che il paziente non ha sempre ragione, ma ha senz’altro le sue motivazioni ed il suo sapere profano che devono essere riconosciute.
2) riconoscere che comunque la relazione è asimmetrica sia in termini di conoscenza e soprattutto di responsabilità.
3) il rispetto del punto di vista dell’altro contemporaneamente alla consapevolezza del proprio punto di vista.
4) la possibilità di avere come obiettivo significativo quello che è possibile raggiungere ( politica del minor danno)
La negoziazione in medicina generale prevede inoltre una consapevolezza non richiesta alla maggior parte delle altre figure mediche: essere empatici, fare della soggettività dell’altro un punto di riferimento privilegiato. Significa ribaltare completamente i paradigmi della clinica, la definirei la conoscenza dell’altro, cui siamo stati formati e preparati, il paziente, cioè, come puro oggetto che si sottopone al nostro esame. Fondamentale quindi la consapevolezza che ci allontaniamo in una modalità di non ritorno da un metodo che se pure spesso difficile e tortuoso restava per noi comunque un metodo rassicurante e non emotivamente coinvolgente. Essenziale è il capire che questo nuovo metodo deriva da :” ….un talento che parte dall’attitudine a sentire e osservare dentro di sé prima che negli altri e cresce attraverso capacità che vanno coltivate“. ( G.Cataldi,F.Benincasa ).
Storie di conflitto
Qualche settimana fa è venuta in ambulatorio la signora Aurelia per la prima volta. E ‘una 76enne che si è presentata dicendomi che mi aveva scelto come medico, “perché le stavo comodo“, essendosi trasferita da pochi giorni in questa zona della città. Alla mia domanda se aveva qualche problema di salute: “…allora, il fegato me lo ha rovinato il dottor Rossi con tutti gli antibiotici che mi dava, i reni me li ha distrutti il dottor Bianchi con tutte le medicina per le ossa, lo stomaco me lo ha distrutto il dottor Verdi sempre con le medicine per le ossa“. Siamo andati avanti con un discreto elenco di organi “assassinati” dalle cure somministrate dai colleghi che conosco personalmente, tutti professionisti validi e preparati. Mentre parlava la osservavo….tipico esempio di paziente francamente antipatica: eloquio da soprano penetrante con modalità tendente al lagno, mimica e gestualità vorticosa, mentre parla a getto continuo non lascia spazi e possibilità di inserimento a qualsiasi interlocutore. L’ho lasciata arrivare sino alla fine dei suoi discorsi in silenzio, le ho chiesto se le occorreva allora qualche ricetta per i farmaci che assumeva in maniera cronica e, mentre gliele consegnavo, l’ho congedata dicendo:” Sono fortunato signora! Io non ho più organi da rovinarle, in quanto ci hanno pensato colleghi che mi hanno preceduto, credo che sarà veramente soddisfatta di me!” L’ho vista un po’ spiazzata, e mi ha dato la mano per salutarmi abbozzando un mezzo sorriso senza replicare. Vedremo come andrà a finire.
Lunedì sono arrivato in ambulatorio e la signora Bruna ( 84 anni) era già seduta in sala d’aspetto e nonostante l’ambiente fosse quasi in penombra inforcava un paio di occhiali da sole veramente grandi rispetto al volume della sua testa. E’ mia paziente da 33 anni, sin da quando dirigeva in maniera decisa la sua famiglia composta dal marito, il primogenito maschio e due figliole femmine.
Tanto per inquadrarla i suoi familiari ed amici la chiamavano la ” colonnella”. Eccetto il figlio maschio che quasi subito si è trasferito a Roma ho seguito tutto il nucleo familiare e la sua evoluzione. L’ictus del marito che è deceduto da diversi anni. Una figliola sposata, divorziata, tumore alla mammella attualmente in remissione. L’altra figlia sposata, anche lei tumore alla mammella attualmente in chemioterapia. ” Dottore, l’altro ieri sono salita sull’autobus e il getto dell’aria condizionata a palla mi dovrebbe aver lesionato l’occhio sinistro e pertanto voglio andare dall’oculista!” Siamo andati avanti per diversi minuti con la minuziosa descrizione sul perché aveva preso l’autobus, l’itinerario percorso, la noncuranza dell’autista che insensibile alle sue lamentele non abbassava l’intensità dell’aria, su chi aveva incontrato una volta discesa…..Nel frattempo io ” friggevo” pensando alla sala d’aspetto che di lunedì è sempre stracolma, ma….ma non potevo fare diversamente. Ho ascoltato pazientemente, poi l’ho fatta accomodare nella saletta da visita sotto la lampada a luce fredda e non ho fatto altro che diagnosticare un orzaiolo in fase iniziale. Le ho detto quello che avevo visto e, mentendo, ho affermato che poteva essere stato causato dall’aria condizionata. L’ho congedata con la ricetta di un collirio e di farmi sapere come sarebbe andata, solo allora avrei attivato la consulenza dell’oculista. Se ne andata via, sorridendo e con gli occhiali da sole in borsetta.
Conflitto, negoziazione, generatività ( considerazioni a ruota libera)
Senza dubbio è quasi impossibile separare quello che sei nell’attività professionale da quello che sei come uomo. Con il tempo però, con l’esperienza e “le battute di muso” una certa pratica nel gestire i conflitti, arrivare ad una concertazione e negoziazione diventa realtà quotidiana, anche perché il ruolo del medico e del paziente almeno sulla carta è tracciato e abbozzato. Il discorso diventa più impegnativo quando indossi altre maschere: coniuge, padre, fratello, figlio o tutti gli altri copioni che durante la giornata di fatto reciti.
La difficoltà del gestire una relazione conflittuale è direttamente proporzionale a quanto per te quella relazione conta e quanto importa il dover convincere alle tue idee o propositi il tuo interlocutore. Anche se sono perfettamente consapevole dell’inferenza etica di tali affermazioni, ben presto qualsiasi medico capisce dove arriva il confine del proprio intervento, quale è il limite oltre il quale spingersi sarebbe infruttuoso se non addirittura pericoloso.
Stiamo parlando ovviamente di relazione che co-costruisce nel tempo, non ovviamente all’atto medico dovuto in senso deontologico…..diagnosi, terapia farmacologica, chirurgica dovuta a tutti.
La mia personale esperienza rimanda comunque a delle scelte se intervenire o meno in senso relazionale che ogni medico di fatto fa come storicamente facevano i medici militari dell’esercito napoleonico allorché venne pensato e istituzionalizzato il “triage”.