Da quando sono in pensione dal Servizio Sanitario Nazionale e mi sto dedicando al volontariato del cosiddetto terzo settore, una delle considerazioni ricorrenti è quello su come sia possibile comportarsi per centrare gli obiettivi che ci prefiggiamo: aiutare i cittadini come associazioni di pazienti in particolare per quanto riguarda la prevenzione secondaria, ma anche cercare di perseguire la prevenzione primaria in generale. Obiettivi senza dubbio ambiziosi e anche apparentemente semplici nella loro declinazione, ma se uno ci riflette in maniera profonda si rende subito conto come sia difficile il ragionamento da un punto di vista metodologico. La difficoltà inizia subito, già nel dover definire che cosa sia la salute. A questo scopo, anche se corro il rischio di dilungarmi troppo, credo che sia importante partire da un mio vecchio editoriale che ripropongo in maniera integrale per poi sviluppare il ragionamento come si è evoluto e si sta ancora evolvendo
LA SALUTE NULL’ALTRO E’ CHE UN’IDEA
Editoriale del Bollettino dell’Ordine dei Medici della Provincia di Perugia N.02/2012
“ Voglio vivere ancora a lungo, perché vede dottore, nonostante tutto, io mi trovo ancora bene e la vita mi piace“…. Queste sono le parole che P.M. di 88 anni mi ripete ogni volta che vado nella sua casa a visitarla. Non ci sarebbe nulla di strano in queste affermazioni, se non fossero fatte da una donna costretta su una sedia a rotelle da anni e che oramai passa quasi tutto il suo tempo a vedere la televisione e a contemplare il panorama che si apre davanti a lei ogni volta che si affaccia al proprio balcone. Questo è indubbiamente un panorama splendido, con monte Morcino in prima fila, Lacugnano, monte Malbe ed il Tezio in seconda, all’orizzonte il Trasimeno con dietro ergersi in maniera quasi sfumata le sagome del monte di Cetona e dell’Amiata. “ Quello che però non potrei accettare” aggiunge “ è la perdita della vista! Allora si che vorrei morire”.
P.M fa parte di quella schiera di pazienti che, nonostante la malattia, nonostante la disabilità, nonostante il dolore fisico e morale che provano, riescono sempre a stupirti per come, tutto sommato, sono riusciti ad adattarsi alla propria condizione di malati. Chiamano il minimo indispensabile, sopportano tutto in maniera quasi stoica: difficilmente un lagno od un lamento, tutt’al più qualche sospiro accompagnato da espressioni come “ Ci vuole pazienza!”. Rifiutano terapie analgesiche potenti e cure che prevedano il dover “peregrinare” tra ambulatori ed ospedali, ma non stanno assolutamente ad aspettare in maniera passiva la morte in quanto vanno comunque avanti, a loro modo, ma vanno avanti. Si sono creati un loro mondo, un loro vissuto, come direbbero i fenomenologi, un mondo di non facile comprensione in quanto origina da una loro esperienza rielaborata dalla loro soggettività con una loro significanza, quindi, non con un significato uguale per tutti. C’è però molto da imparare da costoro e a ben riflettere indicano una strada, forse meglio dire la strada per la soluzione di molti problemi che stanno per travolgere i nostri sistemi sanitari. Mi spiego meglio. Se chiediamo, sempre a costoro, se si sentono in buona salute il più delle volte rispondono in maniera positiva sul loro stato e pertanto senza rendersene conto hanno completamente stravolto il concetto di salute stesso.
Quest’ultimo cui ci si rifà di solito, è quello dell’Organizzazione Mondiale della Sanità stilato nell’ormai remoto 1948:” Non semplicemente l’assenza di malattie ed infermità, ma uno stato di completo benessere fisico, mentale e sociale”. Come è stato fatto notare nella Conferenza Internazionale ( Is health a state or an ability? Towards a dinamic concept of health) tenutasi a L’Aia nel dicembre 2009 questa definizione oramai ha perso il suo valore in quanto esprime un concetto statico del tutto improponibile in un mondo dove è diventato normalissimo invecchiare convivendo con le patologie croniche. Il seguitare, pertanto, a dare valore alla completa assenza di malattie significherebbe decretare la fine della sostenibilità dei nostri servizi sanitari. Non verrebbe poi considerata la capacità di adattamento dell’essere umano nei confronti delle avversità della vita siano queste malattie, cataclismi naturali, guerre o disastri: tutta la storia dell’umanità è una testimonianza di ciò. Non verrebbe dato nemmeno il giusto valore alla capacità umana di sentirsi funzionale o di star bene anche con una malattia o con una disabilità. Ecco pertanto che occorre provare a ridefinire il concetto di salute, sempre secondo gli studiosi della conferenza olandese, spostandosi verso una concezione dinamica, basta sulla resilienza e sulla capacità di difendere, mantenere o recuperare il proprio equilibrio e senso di benessere. Salute quindi come capacità di adattarsi e autogestirsi.
Particolare importanza, quindi, al processo di resilienza che in psicologia viene individuata nella capacità degli uomini di affrontare le avversità della vita, di superarle venendone fuori rafforzati. Si tratta pertanto di un processo dinamico che parte da un nuovo modo di valutare il proprio concetto di sé, degli altri e del mondo che ti circonda. E’ un processo individuale, personale che scaturisce dalle proprie reazioni difronte agli eventi traumatici della vita e pertanto un percorso che è valido per una persona potrebbe non esserlo per un’altra in quanto legato al proprio vissuto, alle proprie concezioni e alla propria cultura di riferimento. Grandissima importanza quindi al contesto globale, soprattutto culturale e sociale in cui l’individuo vive. Senza addentrarmi nei concetti di coping e salutogenesi di Lazarus e di Antonovsky, ritengo utile indicare i passaggi che questi studiosi hanno sottolineato per vincere le avversità della vita, fronteggiandole (coping) e strutturando un senso di coerenza interiore (salutogenesi).
· Realizzare una buona rete sociale che permetta il supporto ed il sostegno oltre che materiale anche emotivo e morale;
· Riconoscere che il cambiamento è parte della vita per cui è impossibile pretendere che tutta rimanga immutabile secondo il proprio volere;
· Considerare una crisi come un’occasione di stimolo per reagire, cercare di trovare dentro di sé le capacità per superarla;
· Mettere in atto comportamenti di reazione ;
· Sfruttare ogni possibilità per crescere e realizzarsi;
· Trovare sempre uno spazio per coltivare i propri interessi.
Non so se tutti questi concetti abbiano interessato P.M. nella rielaborazione della sua disabilità, probabilmente in gran parte si: ha un figlio pronto a correre in suo aiuto in qualsiasi momento, trascorre ore a sentire musica e a guardare qualsiasi documentario televisivo sulle “ meraviglie della natura” come le chiama lei. Ricorda sempre come durante la guerra aveva dentro di sé la convinzione che ne sarebbe uscita indenne insieme a suo marito e che con l’aiuto di Dio avrebbe comunque realizzato la sua famiglia, la sua casa, la propria vita.
“Vede dottore” mi ha detto l’ultima volta” a me basta affacciarmi al balcone e, anche se le gambe non mi portano più da nessuna parte, sapesse quanto mondo vedo anche oltre l’orizzonte!”
Mentre mi allontanavo, riflettevo sulle sue parole. Sarà stata l’immaginazione che superava l’orizzonte, la capacità di poter comunque vedere oltre gli ostacoli e le barriere che mi è venuto in mente un poeta che di avversità e di problemi di salute ne ha avuti tanti, ma con la loro rielaborazione, anche se forse non ha realizzato una perfetta resilienza, ci ha donato però le più belle pagine della poesia italiana. Consentitemi di trascrivere per intero quella che senz’altro meglio delle mie parole indica come e dove può arrivare “ il fingersi nel pensiero”.
L’infinito
«Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe, che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
spazi di là da quella, e sovrumani
silenzi, e profondissima quïete
io nel pensier mi fingo, ove per poco
il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante, io quello
infinito silenzio a questa voce
vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni, e la presente
e viva, e il suon di lei. Così tra questa
immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare»
(Giacomo Leopardi)
Non nascondo che questo è un editoriale che a suo tempo mi ha dato tante soddisfazioni sia per i riscontri lusinghieri che mi sono arrivati da tantissimi anche non medici e anche perché poi si è sviluppata una discussione con colleghi che mi piace riprendere perché anche se sono passati 11 anni è sempre attuale.
Io sono convinto che il concetto di salute come definito nella Conferenza Internazionale ( Is health a state or an ability? Towards a dinamic concept of health) tenutasi a L’Aia nel dicembre 2009 sia quanto di più reale e funzionale anche se necessita di qualche aggiustamento. Quello che suscitò la discussione con i colleghi, soprattutto con quelli addetti ai lavori in politica sanitaria e gestionale, è stato soprattutto il concetto di resilienza vista come una capacità prettamente individuale per cui “ chi ce l’ha ce l’ha e chi non ce l’ha si attacca”. Tradotta in termini più politici si tratta di una visione, secondo loro, prettamente individualista che mina il concetto di solidarietà, democraticità e reciprocità di un’assistenza sanitaria. Qualcuno è arrivato anche a questa conclusione: “Questo è il mondo della “resilienza”: l’adattamento costante al peggio (a cui dà mano forte il diniego del mondo reale), il rifiuto di trasformarci per trasformare le condizioni della nostra esistenza, lo stoicismo di fronte alle catastrofi che deriva da uno stato perenne di auto-ipnosi (l’effetto vero di ogni tipo di droga).”( Sarantis Thanopulos).
Lascio ad ognuno di voi tirare le conclusioni sulla resilienza, evitando anche certe conclusioni estreme, ma ovviamente è esperienza di tutti noi come il nostro ambulatorio trabocchi di frequentatori non resilienti e pertanto cerchiamo di aiutarli a trovare quello che può essere considerato un certo equilibrio.
E’ proprio a questo punto che devono entrare in campo tutte quelle associazioni di volontariato o di promozione sociale del terzo settore che hanno come obiettivo favorire l’invecchiamento in salute. Non voglio dilungarmi o passare in rassegna i lavori che documentino come l’intervento sugli stili di vita sia indispensabile per evitare tutti quei fattori di rischio di patologia che ben conosciamo, invece voglio enfatizzare come il realizzare una buona rete sociale che permetta il supporto ed il sostegno oltre che materiale anche emotivo e morale, vedi il la prima raccomandazione della Conferenza dell’Aja , sia un’ottima premessa anche per confutare la tesi che la resilienza possa essere indicata come una strategia individualistica che inficia la solidarietà. Mi riferisco al fatto che partecipare a qualsiasi associazione che promuova lo stare insieme già di per sé è salutare. Studiosi dell’Università texana di Austin hanno pubblicato il loro lavoro su Journals of Gerontology Series B: Psychological Sciences and Social Sciences. L’impegno del team vuole dimostrare come i processi di socializzazione continuativi delle persone anziane favoriscano il benessere mentale. Lo studio ha coinvolto un campione di circa 300 over 65. A loro è stato chiesto di dettagliare le attività compiute durante la giornata e di indossare un dispositivo elettronico utile a estrapolare i dati relativi all’attività fisica. Dalla ricerca è emerso che chi ha interagito con altre persone ha aumentato anche il tempo di permanenza fuori dalle mura domestiche, favorendo la socialità. A sostenere che esiste, invece, una connessione tra le relazioni interpersonali e il rischio di mortalità è una ricerca pubblicata su PLOS Medicine. Lo studio evidenzia che gli uomini e le donne – impegnate in forti interazioni sociali hanno il 50% di probabilità di vivere più a lungo, rispetto a chi ha meno legami. Solitudine vissuta come angoscia ed ansia cronica, stress continuo comporta un incremento del cortisolo endogeno: obesità, resistenza insulinica e tutta una cascata di fattori patogeni. Allora impulso e promozione dei rapporti sociali attraverso le associazioni socio-culturali con laboratori, tornei di carte, serate danzanti e qualsiasi altra iniziativa che vada in questa direzione. Grandissima importanza hanno anche i gruppi di auto-aiuto o di ascolto per favorire il cambiamento e il senso di solidarietà e comunanza delle associazioni di pazienti.
Nulla di nuovo! Andiamo a ripercorrere la storia della nostra cultura occidentale e precisamente nella lettura dei frammenti dei lirici e dei pensatori dell’antica Grecia. Accanto a un Mimnermo non resiliente che scrive :” A Titono concesse Zeus, immortale sciagura, la vecchiaia che anche della morte molesta è più abbrividente”. Troviamo un saggio Solone resiliente che risponde sempre a Mimnermo che invocava la morte a 60 anni , morire quindi prima di invecchiare: ”Quella sentenza , se ancora tu vuoi darmi retta, cancella e non impermalire, s’io di te parlo meglio. Cambiala, dunque o figlio di Ligia, e così canta invece: il destino di morte mi colga ad ottanta anni. Invecchio , e qualcosa di nuovo imparo sempre.” Solone è considerato il primo statista dell’Occidente, grande operatore politico e sociale e pertanto un soggetto impegnato nelle relazioni civili e culturali. Testimonianza storica pertanto su quanto lo stile di vita influisca sul tono dell’umore e il benessere in generale. Voglio concludere però con un’ultima osservazione. Mentre sto scrivendo è notizia che il mitico cantate dei Rolling Stones, Mick Jagger, compie 80 anni.
Non credo che si sia invecchiato osservando degli stili di vita salutari: sex & drugs &rock & roll è stato il suo motto. Quindi come al solito c’è spesso un altro fattore che entra in giuoco, chi lo chiama fortuna chi lo chiama con un sostantivo molto figurato, ma il concetto è identico.