Riflessioni sulla nuova organizzazione della medicina generale territoriale.
Editoriale pubblicato sul Bollettino dell’Ordine dei Medici della provincia di Perugia n.3/4 2017
A.F.T. Community Care, Approccio Sistemico: sogni e utopie o realtà dietro l’angolo?
Il mese di Luglio u.s. la Regione dell’Umbria ha deliberato il nuovo accordo integrativo regionale, la: ” Riorganizzazione della Medicina Generale e Continuità Assistenziale H24: l’Aggregazione Funzionale Territoriale ( AFT)”.
Tale accordo è la normale evoluzione della legge Balduzzi del 2012, del Patto della Salute siglato dallo Stato e dalle Regioni nel 2014, dei piani nazionale e regionali della cronicità: tutta una serie di normative, insomma, nate per garantire la sostenibilità del SSN di fronte alle sfide che ci stanno aspettando. Dovremmo essere, infatti, tutti consapevoli dei problemi che derivano dall’invecchiamento generale della popolazione, dai costi sempre più crescenti dell’assistenza e dalla necessità di dover tendere sempre più a una medicina umanizzata e che tenga il malato al centro di tutto il sistema. Sarebbe piuttosto inutile dover ripercorrere ora l’intero iter legislativo ed entrare nei particolari dell’accordo, quello che mi preme è di sviluppare una sintesi per ipotizzare degli scenari che potrebbero essere realizzati partendo da questo contesto.
Cerchiamo di immaginare la solita “rete” i cui nodi sono costituiti da queste AFT che altro non sono che una ventina di medici, generali e di continuità assistenziale, che avendo a disposizione un sistema informativo con la condivisione dei dati clinici, assistono circa 30.000 cittadini 24 ore al giorno 7 giorni su 7. Ogni medico e medicina di gruppo mantiene il proprio studio e la titolarità dei propri. Sono previsti almeno 2 infermieri e è prevista anche una reperibilità ambulatoriale h12 dalle 8 alle 20 e dalle 8 alle 14 di sabato in ogni AFT .In maniera più specifica i compiti dell’AFT sono:
assicurare, a tutta la popolazione in carico ai MMG i livelli essenziali ed uniformi di assistenza (LEA), partecipare all’implementazione di attività di prevenzione sulla popolazione, favorendo l’engagementdella persona con cronicità e la promozione di corretti stili di vita che coinvolgano tutta la popolazione, aderire ai programmi di sanità d’iniziativa organizzati a livello di Distretto, Azienda, USL e Regione. Si dovrà contribuire alla diffusione e all’applicazione delle buone pratiche cliniche sulla base dei principi della evidence based e slow medicine. Si dovrà promuovere e diffondere l’appropriatezza clinica e organizzativa nell’uso dei servizi sanitari, anche attraverso procedure sistematiche ed autogestite di peer review e Audit.
Nelle AFT si dovranno inoltre promuovere modelli di comportamento nelle funzioni di prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione ed assistenza orientati a valorizzare la qualità degli interventi e al miglior uso possibile delle risorse alla luce dei principi di efficienza e di efficacia.
Detto in altre parole, con quest’organizzazione il territorio dovrà assumere quella visibilità e quella capacità di rispondere alla patologia cronica come fa l’ospedale per la patologia acuta e grave. Spero che tutti colleghi si rendano conto che accettare questa sfida e vincerla è uno dei pochi modi per poter garantire la sostenibilità e la salvezza del Servizio Sanitario Nazionale e della nostra stessa figura. Mi sono pertanto risultati incomprensibili tutti i timori e le perplessità che hanno fatto seguito alla sottoscrizione di tale accordo.
Il mondo e la società stanno continuamente cambiando a un ritmo vertiginoso e le innovazioni e lo sviluppo della tecnologia in generale e della ICT (Information Communications Tecnology) in particolare, stanno creando scenari che sino a pochi anni fa sembravano da film di fantascienza.
La robotica, i Big Data, l‘ecommerce, stanno per mandare in pensione intere categorie professionali: gli anatomopatologi, gli specialisti nella diagnostica delle immagini e i chirurghi saranno i primi. I farmacisti…questi hanno perfettamente capito che con l’avvento di Amazon sulla distribuzione e la legge sulla concorrenza hanno oramai le ore contate e pertanto stanno disperatamente cercando sotto il cappello della Farmacia dei Servizi, dei nuovi spazi che sono propri della medicina generale come: gli screening, l’aderenza alla terapia dei pazienti, l’educazione sanitaria e tanti aspetti di medicina preventiva. I miei colleghi di medicina generale dovrebbero tenere, poi, ben presente quello che sta accadendo in Lombardia con l’appalto della patologia cronica a 219 gestori privati che rischia di pensionare a breve tutti i medici di famiglia. Cerchiamo pertanto di considerare in maniera pragmatica questa AFT! Cerchiamo di valutarla come un’occasione per dare finalmente un volto e una connotazione precisa a questo benedetto territorio che scompare sempre di fronte ad un ospedale organizzato verticalmente e con ruoli e funzioni oramai ben definiti. Anzi cerchiamo di rilanciare! Cerchiamo di aumentare le potenzialità assistenziali di queste nuove aggregazioni individuando metodi e obiettivi che in questo momento potrebbero sembrare fantascientifici se non dei veri e propri sogni. Lancio per il momento un’idea che porterò poi come proposta dopo averla discussa con tutta la categoria e poi come progetto presso i nostri amministratori e politici: le AFT diventino il perno, il tessuto connettivo delle cosiddette Community Care. Che intendo con questo termine?
Non è certo un concetto nuovo e potrete trovarne un’interessante descrizione e contestualizzazione nel documento della sociologa Luciana Ridolfi visualizzabile nel link http://www.clitt.it/contents/scienze_umane-files/sociologia/60017_CommunityCare.pdf da cui ho rubato definizioni e indicazioni.
Nell’accezione originale Community Care stava a significare un modo di organizzare le cure assistenziali a favore delle categorie sociali più deboli, ponendo come esigenza fondamentale la possibilità per queste persone di continuare a condurre la propria vita entro i confini della comunità di appartenenza dove sono sempre vissute, anziché rivolgersi a strutture residenziali. Il nuovo concetto invece è più ampio e rimanda ad ” un approccio teorico-pratico che prova a ripensare il sistema dei servizi come reti di intervento che si basano sull’incontro creativo e collaborativo fra soggetti del:
“settore informale” (vicinato, gruppi amicali, famiglie, associazioni locali)“ settore formale” (organizzazioni sanitarie pubbliche, private e non profit) mediante relazioni di reciprocità sinergica. Un intreccio tra reti formali ed informali, tra professionalità e figure non specialistiche, tra pubblico e privato…, che ha come obiettivo il coinvolgere nelle attività di cure tutte le risorse presenti all’interno della comunità.” Nella Community Care viene realizzato il passaggio da un concetto di comunità intesa come luogo fisico (territorio) destinatario di prestazioni socio-sanitarie, ad un’immagine della stessa comunità come rete di relazioni sociali significative”.
“settore informale” (vicinato, gruppi amicali, famiglie, associazioni locali)“ settore formale” (organizzazioni sanitarie pubbliche, private e non profit) mediante relazioni di reciprocità sinergica. Un intreccio tra reti formali ed informali, tra professionalità e figure non specialistiche, tra pubblico e privato…, che ha come obiettivo il coinvolgere nelle attività di cure tutte le risorse presenti all’interno della comunità.” Nella Community Care viene realizzato il passaggio da un concetto di comunità intesa come luogo fisico (territorio) destinatario di prestazioni socio-sanitarie, ad un’immagine della stessa comunità come rete di relazioni sociali significative”.
Massima integrazione quindi con il sociale! Anche questo deve essere un concetto chiaro, poiché l’assistenza al paziente cronico, anziano e complesso necessita di supporto e di cura non solo da parte degli operatori sanitari, ma molto spesso di ” assistenza integrata, incentratasulla famiglia e sulla comunità, finalizzata a pratiche di autocura, di cure a domicilio, di mutuo aiuto e con obiettivi di cambiamento partecipato da parte dei cittadini“
Sono perfettamente consapevole che questa “visione” comporta un’attenta mappatura del territorio, cercando di superare l’ottica di orti ed orticelli, di autoreferenzialità, di sospetti e diffidenze, ma lasciatemi concludere con la descrizione del sogno che ho fatto questa notte.
Paolo 84 anni è sposato con Giulia di 81 anni che è affetta da una grave forma di artrosi dell’anca dx, della colonna, dei ginocchi come conseguenza anche di una poliomielite contratta da ragazza che ha sconvolto la sua dinamica scheletrica. Vive senza uscire di casa da molti anni in un appartamento al terzo piano senza ascensore, non hanno figli e i parenti più prossimi sono un fratello che vive in un comune delle Marche a 80 km di distanza. Per i lavori domestici hanno una donna che viene 2 volte la settimana per 2 ore il mattino e i contatti con il mondo esterno sono tenuti da il signor Paolo che mantiene un discreto stato di autosufficienza: va alle poste, in banca e fa la spesa, guida ancora l’automobile per i percorsi noti e che usualmente percorre.
Mi chiamano un lunedì mattina disperati: Paolo è bloccato a letto con un terribile attacco di sciatalgia e mi chiedono che in poche ore sia rimesso in piedi perché deve essere fatta la spesa, devono essere pagate le bollette e si deve passare in banca …il frigorifero è vuoto, mi fanno “intuire” che non hanno contanti per pagare…Che posso fare? Innanzitutto pratico una fiala intramuscolo di Diclofenac che tengo in borsa, conosco il paziente e posso permettermi questa scelta anche rischiosa. Prescrivo poi un ciclo di terapia farmacologica e telefono subito alla farmacia che è dotata del servizio di consegna dei farmaci a domicilio dicendo che poi dall’ambulatorio avrei messo le ricette in rete. Altra telefonata al servizio sociale per illustrare il problema e mi viene risposto che nel giro di due o tre ore avrebbero mandato un volontario accreditato a casa dei pazienti per prendere le bollette, la lista della spesa e l’assegno bancario che Paolo avrebbe fatto, per permettere all’operatore di fare tutto il giro: banca, posta, supermercato. Giunto poi in ambulatorio scrivo nella cartella clinica elettronica condivisa il caso di Paolo, lasciando in consegna al collega della Continuità Assistenziale il problema aperto per poter rispondere con cognizione di causa ad una sua eventuale chiamata……No! mi sono inventato tutto… nel sogno diventato quasi un incubo, sono stato costretto a ricoverare in ospedale tutti e due, non esistendo nulla che potesse rispondere in modo sistemico.