Sommario
La crisi della figura dell’essere medici è una crisi della relazione medico paziente che riguarda soprattutto la medicina di famiglia che più di tutte paga le conseguenze di una “società liquida”. Da una medicina basata sui bisogni ad una medicina dei desideri indotta da Big Pharma e dalla gestione neoliberista della sanità.
Parole chiave
Medicina di famiglia. Riduzionismo. Complessità. Medicina Impossibile.
Riorganizzazione medicina territoriale. Crisi del rapporto medico-paziente.
Summary
The crisis of the figure of being a doctor is a crisis of the doctor-patient relationship which above all concerns family medicine which more than all suffers the consequences of a “liquid society”. From a medicine based on needs to a medicine of desires induced by Big Pharma and the neoliberal management of healthcare.
Keywords
Family medicine. Reductionism. Complexity. Impossible Medicine. Reorganization of territorial medicine. Crisis in the doctor-patient relationship.
Se potessi riformare il corso di laurea in medicina e chirurgia delle Università Italiane metterei come pregiudiziale la frequenza e il superamento dell’esame in epistemologia ed ecologia.
È una questione, secondo me, anche etica in quanto si potrebbe pensare ad un approccio alla professione medica non certo libero da pregiudizi, che sappiamo essere impossibile, ma che disponga a una riflessione alla fine più profonda in un’ottica più ampia o perlomeno più consapevole. Quello della consapevolezza infatti è un vero problema perché pochi medici, soprattutto se freschi di laurea, si rendono conto di come tutto il loro lavoro poggi su un metodo che deriva da una teoria che, pur avendo riportato tantissimi risultati positivi, presenta comunque dei limiti e che potrebbe essere migliorato.
I medici di famiglia sono quelli che per primi si rendono conto dei limiti del metodo da loro appreso e mi riferisco all’approccio riduzionista in cui le malattie dei vari organi ed apparati sono studiate escludendo l’osservazione di tutto l’intero. Per molti arrivano le crisi, i sospetti e la convinzione che quella presunta quasi infallibilità che ti avevano millantato era irreale o quanto meno inverosimile. E a proposito di ‘tutto l’intero’, per cominciare ti trovi di fronte alla persona nella sua totalità e cioè ti trovi a dover gestire sintomi senza malattie, diagnosi non accettate, terapie mai iniziate o sospese poco dopo il loro inizio, ma soprattutto ti rendi conto che la malattia come quadro nosografico che ti hanno insegnato, di fatto è una categoria stabilita per convenzione, e spesso tutti quei sintomi che ti vengono proposti non trovano una giusta collocazione, misurazione, incasellamento. Ti trovi pertanto come Palomar (Calvino I., 1983) che vorrebbe trovare la giusta dimensione per ogni onda del mare, ma ti rendi conto che è un’impresa impossibile e perciò ti si presenta un bivio: andare avanti solo con il metodo che ti hanno insegnato mettendo in conto anche un probabile burnout, oppure guardarti meglio intorno e cercare di capire se esistano nuovi orizzonti o nuovi strumenti che portino a un altro metodo, a un‘altra epistemologia. Senza dubbio aprire l’orizzonte comporta un certo sforzo, comporta mettersi in discussione e un certo grado di umiltà. Vuol dire prima di tutto mettersi nello stato d’animo di ascoltare, di provare a capire chi ti sta davanti. Vuol dire mettersi in “relazione”. È giusto sottolineare come molti medici di famiglia ci riescano senza averne coscienza: è come se un meccanismo di autogoverno mediato da un principio di realtà e da un pragmatismo generato dall’esperienza si metta in moto, per cui alla fine in tanti riescono, o meglio riuscivano e poi dirò il perché, a stabilire una connessione funzionale con i propri pazienti che permetta di accompagnarli lungo un percorso di cura.
Ho coniugato il verbo ‘riuscire’ al tempo imperfetto in quanto nella mia lunga attività di quasi mezzo secolo ho assistito a diversi cambiamenti della medicina di famiglia. Quando ho iniziato a lavorare, alla fine degli anni ’70, l’età media dei pazienti era molto più bassa, si ammalavano di solito di una sola patologia e quando questa diventava cronica non c’erano poi tanti rimedi, presidi o tecnologie che permettessero opzioni terapeutiche risolutive, soprattutto farmacologiche. Nella nostra borsa da medico avevamo pochi farmaci efficaci e nei casi più gravi spesso la nostra attività terapeutica consisteva nell’accompagnare per mano, non solo metaforicamente, il nostro paziente sino a miglior vita.
È arrivata poi una diagnostica tecnologica sempre più sofisticata. Farmaci innovativi che hanno di fatto mutato il volto di molte patologie, e tecniche chirurgiche sempre più precise e meno invasive. Tutto questo ha portato un cambiamento sia a livello dei pazienti che della cultura e della pratica medica. L’età media dei nostri pazienti è infatti molto aumentata e questi presentano un grado di comorbilità, vale a dire più malattie contemporaneamente, per cui è impossibile una gestione autarchica del paziente, non solo da parte della Medicina Generale, ma anche da parte dello stesso specialista. Infatti anche la specialistica è cambiata. Pensiamo per esempio a come è stata smembrata la cardiologia: aritmologia, emodinamica, cardiologia d’urgenza, cardiologia in imaging, cardiologia dello scompenso e senza dubbio ne dimentico qualcuna. L’essere umano pertanto non è solo stato smembrato in tanti organi ed apparati, ma un organo stesso è stato smembrato in tante sue malattie.
Come ha reagito e sta reagendo la medicina in generale e la medicina di famiglia in particolare di fronte a questa evoluzione? Purtroppo male, secondo me, e la recente pandemia da Coronavirus ha ulteriormente peggiorato la situazione.
Non è certo possibile fare qui un’analisi approfondita sulle cause di questa evoluzione. Oltre a quelle di cui si è già parlato ce ne sono altre. Sandro Spinsanti (Spinsanti 2010) dice che “mai come in questi ultimi venti anni si sono sbriciolate le fondamenta del modello ippocratico su cui si fondava l’atteggiamento dei pazienti verso il medico”. Molti sono i motivi di questo grande cambiamento. L’informazione scientifica (o presunta tale) alla portata di tutti, l’influenza dell’industria farmaceutica sulle scelte del medico, talvolta anche a scapito dell’interesse del malato; l’aziendalizzazione della sanità basata su una logica di mercato e di risparmio, talvolta contrabbandata per appropriatezza rispetto al principio di benevolenza, intendendo con ciò il tagliare delle prestazioni che sarebbero necessarie per il bene del paziente, ma che per problema di “budget” vengono dichiarate superflue.
Tutte queste “innovazioni” hanno determinato una perdita di fiducia del cittadino paziente nei confronti della Medicina e dei medici. Intanto i mass media non fanno che proporre un’idea onnipotente della scienza e del progresso medico-scientifico. La combinazione tra sfiducia e aspettative di onnipotenza a volte dà luogo a episodi di aggressività. Chi dovrebbe, in un certo qual modo, poter tamponare questo disorientamento sarebbe la Medicina Generale in quanto primo attore delle Cure Primarie e pertanto sempre a diretto contatto con la popolazione. Ma il problema è che ad essere in crisi e disorientata è proprio la medicina generale, da sempre anello debole della catena assistenziale.
I motivi di questa crisi sono molteplici.
Il medico di famiglia si trova schiacciato dalla sempre crescente burocrazia, teoricamente imposta con l’obiettivo di salvaguardare il servizio sanitario pubblico. Pensiamo alle continue note AIFA che dichiarano la gratuità di certi farmaci in base a dei criteri, o ai piani terapeutici che impongono sempre la gratuità di taluni farmaci dopo che uno specialista ne abbia certificato in modo documentale su modello ministeriale la necessità terapeutica. (Questo può dar luogo a conflitti con il medico, e anche tra pazienti che confrontano trattamenti diversi: per es. l’AIFA stabilisce che l’alendronato, farmaco per l’osteoporosi, sia gratuito per chi ha avuto già una frattura, e a pagamento per chi è sì a rischio, ma non si è ancora fratturato).
Altro problema e fonte di conflitto con il paziente è il rispetto dei tetti di spesa, vale a dire rientrare nel parametro di spesa media per quanto riguarda le prescrizioni farmaceutiche, tetto assegnato ad ogni medico di famiglia in base al numero dei pazienti a suo carico, per cui se lo superi perdi degli incentivi: tradotto in linguaggio semplice hai una riduzione dello stipendio.
Il conflitto, poi, si è molto acuito con il grande sviluppo tecnologico della medicina e con la iperspecializzazione che mette in difficoltà il medico di famiglia nel prendere decisioni cliniche dovendo molto spesso fronteggiare sintomi e problemi posti dai pazienti di difficile inquadramento dove linee guida e “evidence based medicine” non rappresentano molto spesso la risoluzione dei problemi, ma al contrario un ulteriore problema. Si fa presto a parlare, infatti, di medicina basata sull’evidenza che altro non è che la documentata efficacia di quel rimedio in base alle sperimentazioni cliniche controllate in doppio cieco, ma la vita reale e il paziente reale difficilmente rientrano nei protocolli di inclusione della sperimentazione. Spesso prendersi cura di un soggetto significa dover percorrere strade non segnate, mappe mai disegnate dove l’unica bussola che ti orienta è la tua esperienza e le “storie “che ti vengono raccontate e che spesso non coincidono con le linee guida e i percorsi diagnostici terapeutici standardizzati per tutti.
Sino a non tanto tempo fa Il paziente esponeva un problema al proprio medico, si concertava insieme se fosse un vero problema di salute e venivano prospettate delle opzioni: la possibile risoluzione presso di lui, la scelta di un consulente specialista cui inviarlo, la scelta di un ricovero ospedaliero. Così andava il mondo! Veniva moralmente sottoscritto un contratto con il cittadino e il più delle volte con tutta la sua famiglia; iniziavi un percorso condiviso fatto a tappe, con momenti di concertazione, di discussione talvolta anche animata e, quasi sempre senza rendersene vicendevolmente conto, si dava vita ad una co-costruzione che poggiava essenzialmente sulla relazione.
Ora ci troviamo di fronte a una situazione molto complicata. Da un lato abbiamo un paziente che presume di sapere più o meno quasi tutto; spesso un paziente ancora sano ma con diversi fattori di rischio di patologie per cui prioritario sarebbe un intervento sugli stili di vita; oppure soggetti affetti da pluripatologie che necessitano di un approccio complesso multidisciplinare molto spesso ipertecnologico da un punto di vista diagnostico e terapeutico, cui il medico di Medicina Generale non è più in grado di dare risposte esaustive.
A quale futuro andrà incontro la Medicina Generale con questi presupposti? Difficile dare risposte certe anche perché in questo momento tutta la medicina territoriale è in corso di ristrutturazione. Il PNRR alla missione n.6 (AGENAS, 2022) prevede infatti l’attuazione del cosiddetto DM70 che è poi stato completato con il DM77, il quale ridisegna in modo molto particolareggiato tutto il Distretto Sanitario Territoriale. Colloca i medici di medicina generale nelle varie articolazioni (a ciclo di scelta, continuità assistenziale) nelle cosiddette Case di Comunità (CCP) siano esse hub o spoke che dovrebbero garantire le Cure Primarie h24. È prevista pertanto la scomparsa del singolo ambulatorio del medico di famiglia in favore della sua aggregazione non più solo funzionale, ma anche strutturale. Soprattutto nelle CCP hub è prevista la dotazione di tecnologia diagnostica e la presenza di specialisti e infermieri in grado di supportare le cure primarie nell’assistenza a cittadini che si rivolgono in modo diretto e inappropriato al Pronto Soccorso degli ospedali. Il problema che rimane aperto è quello se il medico di famiglia debba passare ad un rapporto di dipendenza con il SSN o possa rimanere un libero professionista se pure in convenzione. Altro problema se il Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale che forma i futuri medici di famiglia debba diventare una specializzazione universitaria o debba restare in carico alle regioni che chi più o chi meno sino ad ora lo hanno appaltato al sindacato di categoria maggiormente rappresentativo.
Tutto quanto non è un problema di poco conto.
1) Il medico di famiglia ha sempre basato la sua azione attraverso una concertazione continua con il paziente cercando di mediare la soggettività di questo con quello che prevede la “scienza” per la cura. Per fare questo, spesso è obbligato a compiere delle scelte soggettive che mal si conciliano con i dettami della Medicina Basata sull’Evidenza (EBM) e peggio ancora con i limiti economici imposti dalla aziendalizzazione della sanità.
2) Sempre più si parla della evoluzione verso la “liquidità” della nostra società che scorre su valori diversi da quelli che vigevano sino a pochi decenni fa. Oramai si sta passando da una medicina dei bisogni a quella dei desideri con una direzione verso una medicina dell’impossibile (Callahan D., 2000) che aumenta aspettative dei pazienti talora rivendicate anche in modo violento.
3) Sino a poco tempo fa l’ambulatorio del medico di famiglia era un presidio ad accesso libero, senza appuntamento, spesso nello stesso quartiere o nella piccola frazione del comune di residenza. La pandemia, il cambio generazionale e la scarsità dei medici e la nuova organizzazione prevista dal Dm77 ha già cambiato o faranno cambiare tutto questo con l’accesso per appuntamento, in strutture non prossime ai vari cittadini soprattutto se vivono nei piccoli comuni.
4) L’università potrà formare i nuovi specialisti in Medicina Generale, ma l’ossimoro resterà comunque e non credo che l’Università con la sua visione riduzionista e specialistica comporti dei guadagni dal punto di vista formativo.
5) Il passaggio alla dipendenza è possibile che faccia ulteriormente perdere la fisionomia del rapporto fiduciario ad personam e uno sbilanciamento a favore del terzo pagante che richiede prestazioni standardizzabili e non personalizzati.
6) L’accesso a maggior tecnologia potrebbe portare a quella che io chiamo “deriva prestazionale “, vale a dire mettersi in concorrenza con gli specialisti a colpi di sonda dell’ecografo o del doppler?
Non è semplice la risoluzione di tutti questi punti interrogativi: una prima risposta dovrà essere quella di un passaggio ad una Medicina di Comunità vera in cui si dovrà far capire alla gente quali siano i veri problemi invece che promuovere una medicalizzazione della vita. Si tratta di una vera sfida perché mettere in atto le proprie capacità cliniche nei confronti di una persona nella sua interezza fisica e relazionale non ce lo ha mai insegnato nessuno. E si tratta anche di andare al di là della relazione solo col paziente, ma di dar vita a una collaborazione di gruppo tra colleghi non solo medici ma anche con tutti gli altri attori con cui non siamo abituati al confronto.
Un Servizio Sanitario può essere visto come un sistema complesso, costituito da più parti tra loro interagenti, che come un essere vivente deve essere capace di adattamento e automantenimento. Il sistema è continuamente sottoposto a stimoli e perturbazioni che arrivano dall’esterno in modo del tutto caotico e imprevedibile. Essi possono alterarne una qualsiasi parte, la cui eventuale sofferenza si ripercuoterà su tutto il sistema, costringendolo a cercare di autoregolarsi per far fronte ai problemi emergenti di volta in volta. E non sempre questo è facile o immediato. La recente pandemia da Covid 19 ne è stato un esempio paradigmatico: la crisi della medicina del territorio ha determinato una crisi di tutto il Servizio Sanitario Nazionale. Al tempo stesso è emerso come, a fronte della emergenza pandemica, abbiano risposto meglio le aree dove la medicina di territorio era abbastanza attiva, rispetto invece a sistemi regionali incentrati su strutture ospedaliere anche di eccellenza.
Concludo dicendo che la medicina generale potrà mantenere la sua grande importanza nella gestione della sanità territoriale a condizione che rafforzi sempre più difronte ad un pericolo di deriva ipertecnologica e prestazionale il proprio ruolo di prossimità. Un ruolo di protagonista nell’ascolto empatico e nel saper guidare il PROPRIO paziente nel labirinto attuale nel suo percorso di cura. La vera ricetta resta quella di saper coniugare competenza clinica e relazionale secondo le migliori regole dell’approccio complesso, integrandosi con la realtà specialistica e ospedaliera.
Bibliografia e Sitografia
AGENAS, 2022. https://www.agenas.gov.it/comunicazione/primo-piano/2099-
missione-6-salute-pnrr-in-gazzetta-il-dm-77-siglati-i-contratti-istituzionali-di-sviluppo Callahan D., 2000. La medicina impossibile. Le utopie e gli errori della medicina moderna, Dalai Editore Milano.
Calvino I., 1983. Palomar, Einaudi, Torino.
Spinsanti S., 2010. https://sandrospinsanti.eu/book/cambiamenti-nella-relazione-tramedico-e-paziente/