Editoriale pubblicato sul Bollettino dell’Ordine dei Medici e Odontoiatri della Provincia di Perugia n. 1/2/2024
E’ di questi giorni la notizia che l’oramai mitico Elon Musk con il suo dispositivo battezzato con il nome di ” Telepatia” abbia sancito lo sviluppo della biotecnologia per le interfacce cervello-computer (in inglese, brain-computer interfaces o BCl ). La start-up Neuralink, da lui finanziata, ha infatti annunciato di aver inserito un chip nel cranio di un soggetto tetraplegico che dovrebbe consentire di poter controllare dispositivi esterni per mezzo della rilevazione dell’attività cerebrale che corrisponde alle intenzioni di muovere parti del corpo. L’obiettivo è veramente ambizioso: basti pensare alle ricadute sulla SLA e tante altre malattie neurologiche, ma è evidente come questo possa anche dar vita ad un progetto che preveda l’istaurarsi di una relazione quasi di simbiosi tra uomo e intelligenza artificiale. Non sono state date delle informazioni circostanziate, ma sembra di capire che questo è il primo di una serie di esperimenti che deve dimostrare che il principale aspetto della interazione cervello-computer è la “larghezza di banda”. Questa interfaccia dovrebbe registrare tantissimi dati della corteccia cerebrale motoria e sensitiva e trasferire gli impulsi attraverso degli elettrodi a un dispositivo (Telepatia) impiantato sotto l’orecchio. Da qui il flusso d’informazioni andrebbe al computer e tornerebbero poi come risposta al paziente. Sembra che lo studio durerà sei anni e verranno reclutati altri pazienti tetraplegici che si stanno offrendo come volontari. Un robot effettua l’intervento chirurgico di inserire 64 fili flessibili, del diametro di circa un quarto di un capello umano nell’aree cerebrale interessate e, i 1.040 mini elettrodi connessi consentono all’impianto di registrare e inviare segnali cerebrali a un’app che determina il modo in cui il soggetto vuole muoversi. Un capolavoro di bioingegneria robotica senza dubbio è il robot che impianta i microelettrodi attraverso otto fori nel cranio, senza danneggiare tessuti e vasi sanguigni. Ovviamente ci sono da attendere e verificare i risultati che dovranno dimostrare che questa è la giusta strada per arrivare a dei risultati tangibili e non creare illusioni e false speranze nei pazienti e nelle loro famiglie e poi c’è da dover affrontare tutte le problematiche inerenti a “Telepatia” con le ripercussioni etiche e morali che trascendono i problemi scientifici: la “lettura del pensiero” è dietro l’angolo.
Scrive Marcello Ienca che insieme a Roberto Adorno ha coniato il termine neurodiritti:” Le sfide etiche poste dalle interfacce cervello-computer (o BCI) e da altre neurotecnologie ci spingono ad affrontare una questione sociale fondamentale: determinare se, o a quali condizioni, è legittimo avere accesso o interferire con l’attività neurale di un’altra persona o della propria. Questa domanda deve essere posta a vari livelli di giurisdizione, compresa l’etica della ricerca scientifica, la governance tecnologica, l’innovazione responsabile e la protezione dei dati personali. Ma soprattutto, dato che l’attività neurale è largamente considerata come il substrato fondamentale della mente umana, ho proposto di affrontare questa domanda anche a livello dei diritti umani fondamentali. Il cervello, infatti, non è un organo come un altro ma il centro di coordinamento delle funzioni vitali dell’organismo e il presupposto neurobiologico della mente e delle facoltà ad essa afferenti come la coscienza, la memoria, la percezione e il linguaggio, ovvero tutto ciò che ci costituisce come esseri senzienti dotati di una propria identità, dunque definibili come persone”.
Gli stessi studiosi hanno teorizzato quattro categorie di neurodiritti: il diritto alla libertà cognitiva, il diritto alla privacy mentale, il diritto all’integrità mentale e il diritto alla continuità psicologica.
il diritto alla privacy mentale dovrebbe permettere di garantire la sicurezza di preservare le informazioni neurali da accessi e controlli non voluti; il diritto alla continuità psicologica per garantire l’identità delle persone e la continuità della loro vita mentale da alterazioni esterne non volute da terzi; il diritto all’integrità mentale andrebbe inteso quale diritto utile a proteggere dalle manipolazioni illecite e dannose dell’attività mentale quale ripercussione di un uso improprio delle neuro tecnologie, riconoscendo quindi una cosiddetta integrità digitale, infine, il diritto alla libertà cognitiva serve a proteggere la libertà degli individui di prendere decisioni in modo libero e informato sull’uso delle BCI.
La materia è in continua evoluzione e dovrebbe svilupparsi in parallelo con lo sviluppo scientifico: quanto più la biotecnologia evolve anche la neuroetica dovrebbe muoversi in modo pro attivo e non aspettare che si verifichi l’evento increscioso per dover prendere in seguito dei provvedimenti. Pensiamo alla possibilità di potenziare positivamente le attività cerebrali di un giovane, ma anche di renderlo conforme ad un pattern determinato chissà da chi. Qualche stato già si è mosso, la Repubblica del Cile ha approvato una legge di riforma costituzionale che definisce l’integrità mentale come un diritto umano fondamentale, e una legge sulla “neuroprotezione” che protegge i neurodiritti e applica l’etica medica esistente, codificata dall’attuale codice medico cileno, all’uso delle neurotecnologie per l’intera popolazione. Anche il Presidente dell’Autorità Garante per la protezione dei dati personali, Pasquale Stanzione intervenendo alla conferenza “Neuroethics in a Time of Global Crises” organizzato dalla Società italiana di Neuroetica nel maggio 2022 ha affermato:”Tra i compiti della protezione dati c’è anche quello di promuovere un’innovazione sostenibile e non democraticamente regressiva. La rivoluzione digitale rappresenta infatti un passaggio epocale, in cui l’applicazione dell’intelligenza artificiale apre scenari inesplorati in ambito neuroscientifico. Se l’uso terapeutico delle neurotecnologie per la cura di malattie neurodegenerative è da promuovere, a tutela del diritto fondamentale alla salute, più problematico, è il ricorso a tali tecniche per realizzare un potenziamento cognitivo, al di fuori dell’ambito clinico. Si pensi infatti a progetti per l’installazione di chip nel cervello che permettono di potenziare le capacità cognitive, di “salvare” i ricordi e “scaricarli su un altro corpo o robot, o il programma d’interfacce cervello-computer, elaborato da un social network, per condividere contenuti on-line direttamente con il pensiero. Ma non tutto ciò che è tecnicamente possibile è anche giuridicamente lecito ed eticamente ammissibile” ha affermato Stanzione, ricordando le parole di Stefano Rodotà nella prima Relazione annuale dell’Autorità. “Nessun esercizio di diritto o libertà potrebbe dirsi tale, se realizzato per effetto del condizionamento, magari indiretto o parziale, delle neurotecnologie sul processo cognitivo”.
Per questo, il Presidente del Garante della Privacy ha auspicato che attorno ai neurodiritti venga definito uno statuto giuridico ed etico, in base al quale coniugare l’innovazione con la dignità̀ della persona. In caso contrario, c’è il rischio che tecniche preziose per la cura divengano strumento per fare dell’uomo una non-persona, un individuo da addestrare o classificare, normalizzare o escludere. Che commento possiamo fare ? Staremo a vedere! Intanto chiedo scusa per l’uso continuo di parole inglesi, ma purtroppo oramai questo idioma è diventato il linguaggio universale dell’informatica in tutte le sue accezioni.