PREVENIRE LA VIOLENZA NEI CONFRONTI DEI MEDICI E DEL PERSONALE SANITARIO COINVOLGENDO LE PARTI CIVILI DELLA COMUNITA’PER INCENTIVARE LA SENSIBILIZZAZIONE AL PROBLEMA .
Senza dubbio quello della violenza nei confronti dei medici e degli operatori sanitari in genere è un capitolo di un libro più grande da un probabile titolo:” La violenza della società contemporanea”. Non ritengo opportuno in questa sede affrontare il problema da un punto di vista sociologico impegnandomi in riflessioni sulla crisi valoriale, sulla liquidità nel senso di Bauman della nostra società. Certo per chi come me è nato negli anni’50 fare un confronto su quello che era nell’immaginario collettivo la figura del medico e quello che attualmente è, rubando un’espressione all’attore Troisi mi viene da dire:” Non ci resta che piangere”.
Fermarsi agli amarcord naturalmente non è produttivo per cui si impone una riflessione realistica su come affrontare il problema cercando di indicare come potrebbe realizzarsi una sensibilità positiva coinvolgendo le parti civili e le istituzioni della nostra comunità.
E’ scontato innanzitutto che i medici e il personale sanitario debbano prevedere nella loro formazione il come gestire le situazioni di conflitto e di stress. Una buona comunicazione con i pazienti riduce le tensioni e i motivi di conflitto, ma in questo devono essere supportati in primis dalle istituzioni sanitarie stesse e dai colleghi.
Già! Il rispetto dei codici deontologici porterebbe tanti frutti….quante volte chi arriva per secondo si permette in presenza dei pazienti e dei suoi parenti valutazioni, definiamole azzardate, sull’operato di chi era arrivato per primo dimenticando che un quadro clinico va giudicato in quel contesto e con quell’esame obiettivo in quel preciso momento? Quanto giuocano turni di servizio massacranti, il tempario imposto alle visite mediche come se si trattasse di una produzione industriale…..ma l’aziendalizzazione della sanità questo ha comportato.
Do per scontata tutta la riflessione in merito alle cosiddette zone rosse in cui più frequentemente si verificano gli episodi di violenza, spesso drammatica nei nostri confronti. Mi riferisco ai reparti di pronto soccorso, all’emergenza del 118, ai centri di salute mentale.
Noi, come ordine dei medici di Perugia, riceviamo diverse segnalazioni da parte di giovani colleghe che svolgono l’attività di Continuità Assistenziale, Guardia Medica tanto per intenderci, nelle sedi periferiche in delle realtà quasi rurali e abbastanza isolate. Queste hanno paura di fare il turno da sole per cui arruolano fidanzati o amiche per aumentare il proprio grado di sicurezza, forse…basterebbe dotare tutte le postazioni di videocitofoni, di aumentare l’illuminazione nell’accesso della sede e nel parcheggio della vettura per cui chiediamo da tempo una ricognizione su tutte le postazioni di guardia medica, soprattutto in quelle più a rischio. Dotare magari le colleghe di dispositivi che permettano un contatto in tempo reale con le forze dell’ordine e altri accorgimenti di deterrenza sarebbero auspicabili ma veniamo però all’obiettivo del nostro intervento.
La società è cambiata è vero. E come dice Sandro Spinsanti “ mai come in questi ultimi venti anni si sono sbriciolate le fondamenta del modello ippocratico su cui si fondava l’atteggiamento dei pazienti verso il medico” e senza dubbio una delle cause è da ricercarsi al fatto che si è passati da una medicina dei bisogni a quella dei desideri con una direzione verso una medicina dell’impossibile che aumenta le aspettative dei pazienti in modo incontrollabile e irragionevole.
Come possibile invertire la rotta di questa deriva? Quali potrebbero essere le azioni e le alleanze che dovremmo stringere per supportarci e per promuovere una cultura di rispetto e comprensione?
Pare ovvia una liaison con i giornalisti e con tutti coloro che gestiscono i media che troppo spesso più o meno inconsapevolmente alimentano il livore nei nostri confronti. Eppure soprattutto in Umbria dovremmo ricordare come oramai nel lontano 11 gennaio 1995 venne sottoscritta dagli Ordini dei Medici, dei Giornalisti e degli Psicologi dell’Umbria la Carta Perugia, dal titolo Informazione e Malattia, con 13 articoli di cui ritengo opportuno citare l’articolo n. 2 e n.7 che recitano rispettivamente
Articolo 2 L’informazione e la divulgazione devono contenere tutti gli elementi necessari a non creare false aspettative nei malati e negli utenti, e devono essere distinte in maniera evidente e inequivocabile da ogni possibile forma di pubblicità sanitaria.
Articolo 7 È impegno comune la non diffusione di informazioni che possano provocare allarmismi, turbative ed ogni possibile distorsione della verità.
Alla luce di questo come si giustificano articoli dal titolo come :” Terrore in sala parto!” o “ Asportato il rene sano” scritti a caratteri cubitali sulle civette delle edicole?
Altrettanto ovvia dovrà essere una liaison con l’ordine degli avvocati. Mi dicono che nei pressi dei pronto soccorso dei grandi ospedali “bivaccano”, è il verbo giusto, avvocati o soggetti mandati dagli studi legali che contattano i pazienti che manifestano lamentale sulle cure ricevute, per informarli sulla eventuale possibilità di denunciare alla magistratura i colleghi ai fini di un risarcimento:” Tanto non costa nulla!” dicono. Che dire poi degli annunci sulle radio e sui social del tenore : “ Pensi di essere stato danneggiato dall’operato dei sanitari? Contattaci che pensiamo noi a tutto!”. Nessuno nega che ci possano essere degli errori che danneggiano e che debbano essere risarciti, ma se quasi il 90% delle cause finisce con l’archiviazione perché il reato non esiste dovrebbe essere motivo di profonda riflessione.
Quale potrebbe essere una strategia per un’alleanza con questi professionisti? Senza dubbio poter frequentare dei corsi di formazione congiunti. Stabilire degli obiettivi comuni facendo capire che pur non essendo loro degli organi sussidiari dello stato svolgono comunque funzioni di interesse pubblico, come la formazione e la disciplina dei professionisti iscritti che devono operare nel rispetto delle leggi e delle normative nazionali.
Sarebbe possibile concordare insieme campagne di sensibilizzazione al problema.
Far capire che tutto il Sistema Salute è un sistema e come tale composto da diverse parti e la messa in crisi di una parte si riverbera su tutto il sistema.
Far capire che l’attuale scarsità di risorse umane in tutto il Servizio Sanitario Nazionale è in parte dovuto ad una mancanza di programmazione sull’accesso alla facoltà di medicina e chirurgia e alle scuole di formazione delle professioni sanitarie, ma una parte considerevole è dovuta all’esodo continuo dalla attività pubblica, sia per uno scarso riconoscimento economico rispetto alle responsabilità da assumere ed anche a il dover lavorare in continua difficoltà rispetto alle richieste non sempre razionali e plausibili. Ritornando a parlare di alleanze con le patti civili della comunità, senza dubbio fondamentale è l’alleanza con i cittadini, con i pazienti, con i malati.
Non esiste oramai malattia che non abbia la propria associazione e che non sia in qualche modo rappresentata. Mi riferisco alle associazioni inscritte nel registro unico del terzo settore, organizzazioni di volontariato che nella loro mission prevedono l’assistenza nel percorso di cura e la promozione della prevenzione della malattia sia primaria, secondaria che terziaria. E’ mia conoscenza ed esperienza partecipativa personale in queste organizzazioni e posso dire che rappresentano un momento topico per orientare e informare sui concetti di aderenza alle cure, sui limiti della medicina e sui suoi aspetti etici.
Quasi tutte prevedono al loro interno un comitato scientifico fatto da medici ed altre figure sanitarie che oltre ad aggiornarli da un punto di vista sulle nuove possibilità di cura offerte dai servizi e dai nuovi farmaci, oltre a supportarli nelle rivendicazioni dei loro diritti potrebbero anche ricordargli i loro doveri.
Potrebbero essere organizzati dei forum di dialogo creando degli spazi di dialogo fra sanitari e cittadini, ascoltando la loro voce e affrontare insieme i problemi che emergono reciprocamente. Cercare di far capire quale sia lo stato d’animo di un medico o di un infermiere che ha subito un’aggressione, come questo incida poi sul suo prendersi cura e sul suo modo di impegnarsi nel lavoro.
Far capire anche il perché si crei il problema della medicina difensiva come risposta ai continui attacchi cui siamo sottoposti, con l’aumento delle prescrizioni di accertamenti diagnostici che vanno ad intasare le liste di attesa a scapito della attività di prevenzione, con aumento della spesa totale che dicono si aggiri intorno al 10%.
La chiave per prevenire la violenza quindi è un approccio integrato e collaborativo, dove ogni parte si sente responsabile e impegnata nel promuovere un ambiente sicuro e rispettoso. Così facendo, possiamo assicurare che i medici e tutti i sanitari possano concentrarsi sulla loro missione principale: offrire cure di qualità ai pazienti.