I MURI DEL PIANTO Editoriale del Bollettino dell’Ordine dei Medici della Provincia di Perugia N.03/2012

E’ da diverso tempo che mi mette ansia dover incontrar colleghi, siano essi medici di medicina generale, ospedalieri, funzionari di asl o liberi professionisti, in quanto oramai  sono tutti accomunati da un unico comportamento ed atteggiamento: il piagnisteo.
Questo interessa in maniera trasversale ogni categoria medica, non risparmia nessun’età, non ha preferenza fra maschi o femmine, fra realtà rurale o urbana o di posizione gerarchica.
Si lagna il primario, lo specializzando, il massimalista, il generalista con pochi “mutuati”…..tutti, tanto è vero che forzando la storia ho preferito parlare di muri e non di muro del pianto, in quanto idealmente ogni categoria ne ha uno. Interessante, poi, è il poter leggere i vari biglietti che vengono inseriti nelle fessure del muro con le preghiere, le richieste e i desideri. Mi risulta che a Gerusalemme, la raccolta di tali missive avviene due volte l’anno, ma noi lo facciamo quando vogliamo, altrimenti come possiamo avere il polso della situazione? Ma quanti…! Ci vorrebbe una vita per leggerli tutti. Prendiamone pertanto qualcuno a caso.
“ Onnipotente, sono un medico di medicina generale massimalista da sempre. Sono quasi arrivato alla tanta agognata pensione, ma purtroppo qualcuno sostiene che corro il rischio di non poterla riscuotere. E’ da molto tempo che sono costretto a lavorare con un “computer” e a far parte di una medicina di gruppo con altri tre colleghi che non sopporto. Devo ricettare con parsimonia e non so mai quello che il farmacista dispensa al mio paziente con la mia prescrizione. Devo tener conto delle linee guida, dei processi di cura e fare l’audit, che è una specie di pubblica confessione con ammissione dei propri peccati, per migliorare la mia qualità professionale. Devo mediare le pretese dei pazienti, la saccenteria degli specialisti, gli umori del terminalista CUP. Devo preoccuparmi dell’Agenzia delle Entrate, del NAS, della privacy….insomma è diventato un inferno, ogni mattina quando mi sveglio prego che arrivi presto la sera…..”.
“O mio Dio, sono un aiuto ospedaliero da più di trenta anni. Non ho mai voluto tessere di partiti politici e pertanto sono diventati primari colleghi molto più giovani e molto meno capaci di me. Lavoro con dei ritmi assurdi perché fra raccomandati, colleghe in perenne gravidanza e colleghi con distacco sindacale il servizio sarebbe sempre scoperto. Gli infermieri pretendono di dettar legge, gli amministratori pensano solo a risparmiare, i medici di base ci subissano di prestazioni inutili perché sono buoni solo a scrivere e a far soldi, i pazienti sono sempre più esigenti e pronti a denunciarti per ogni sciocchezza…… mi viene la nausea appena arrivo a un paio di chilometri dall’ospedale”.
Se procediamo, con la lettura di questi biglietti, vediamo che sono tutti dello stesso tenore: rimpianto per un ipotetico periodo dell’oro oramai passato, insoddisfazione per il presente, timore per il futuro, insomma, c’è di che fuggire o peggio di suicidarsi. Gli unici che ridono sono quei pochi medici pensionati che fra libera professione pura o loro riciclaggio in commissioni invalidi, direzioni sanitarie o consulenze per enti pubblici o strutture private, in barba a tutte le incompatibilità e la disoccupazione dei giovani, riescono ad arrotondare forse in maniera cospicua, anche se dicono che lo fanno per non “arrugginirsi”.
E’ giustificato questo piagnisteo e lamento cosmico? Probabilmente ha molte buone ragioni.
Non sono senz’altro all’altezza di fare un’analisi scientifica sul perché e sul come la nostra professione sia giunta a questo punto di sofferenza, ma tanto per iniziare è sotto gli occhi di tutti dove sia arrivata  l’arroganza da rivalsa per l’ipotetica malasanità. Va da sé che l’aumentato  livello di scolarizzazione della società, la facilità di accesso all’informazione, la possibilità di fare il confronto con i servizi sanitari stranieri hanno reso meno autorevole la nostra figura rispetto al passato. La globalizzazione, l’innalzamento della vita media, l’aumento della patologia cronica ma soprattutto la diminuzione delle risorse ha poi contribuito e contribuisce in maniera determinante a modificare la nostra attività, il nostro ruolo, noi stessi. Che fare? Penso che sia proprio impossibile avere ricette pronte e sicure, pertanto mi limiterò a fare qualche considerazione di ordine generale ed ipotesi sul metodo.
Voglio evitare di proposito di parlare delle responsabilità della politica e degli amministratori. 
La demagogia, la superficialità e il clientelismo sono sotto gli occhi di tutti. Quante scelte secondo la logica del tornaconto personale al posto di quella  del buon padre di famiglia? Quante situazioni da violazione di norme sia da codice civile e penale? Qui possiamo reagire con il voto, con la denuncia all’autorità giudiziaria se in possesso di prove, ma dove possiamo agire da attori protagonisti? Dove possiamo essere catalizzatori di un rinnovamento invece di perderci ed esaurirci nel piagnisteo e nel rimpianto se non operando nella nostra possibilità di azione, lavorando nel nostro versante?
La revisione della spesa pubblica in corso da parte del governo Monti con tagli ed innovazioni sta determinando di fatto un razionamento e concordo con Cartabellotta quando nel” Sole 24 ore” del 10-16 luglio  scrive”…nel processo di spending review è inevitabile e indispensabile il coinvolgimento dei medici che non possono più lamentarsi di tagli indiscriminati se non collaborano con la loro professionalità a individuare e a contenere gli sprechi evitabili…”.L’articolo prosegue con la necessità di un cambio di paradigma: dall’etica del razionamento all’etica della riduzione degli sprechi, intendendo con questo concetto la reale possibilità che tutti i tagli di risorse in sanità potrebbero essere evitati se i medici operassero secondo i principi rigorosi della Medicina basta sull’Evidenza:”…. Oggi il dibattito etico si può risolvere solo identificando come sprechi tutti i costi sostenuti per interventi sanitari inefficaci e/o inappropriati che, oltre a non determinare alcun beneficio, spesso causano eventi avversi che generano altri costi. Infatti, le evidenze scientifiche dimostrano che questi sprechi incidono almeno per il 30%…”.
Sarà sufficiente lavorare sotto i principi dell’EBM per evitare il razionamento che tanta infelicità ci procura? Ho i miei dubbi. A mio giudizio dovremo ulteriormente rimboccarci le maniche e cambiare molti altri modelli culturali di riferimento. Concetti come sviluppare la resilienza che ho affrontato nell’editoriale del bollettino precedente, potenziare la prevenzione individuale attraverso il counsellinged il colloquio motivazionale  per un intervento sugli stili di vita e realizzare un empowerment del paziente cronico dovranno costituire il nostro agire quotidiano. Per empowerments’intende un’azione mutuata dalla psicologia: portare il malato a una responsabilizzazione individuale che lo renda in grado di organizzarsi e gestirsi secondo il proprio potenziale umano. Come sarà possibile, però, per noi abituati a ragionare quasi esclusivamente in modo riduzionista, vale a dire basandosi sullo studio analitico delle parti, riuscire in questo nuovo modo di gestire la propria professione? Come riusciremo a passare ad un approccio di tipo sistemico tenendo conto non più del singolo oggetto, ma delle sue relazioni, del suo contesto di interconnessioni per cui ci dovremo interessare non più di un corpo biologico, ma di una persona con tutti i suoi aspetti biologici, mentali, sociali e culturali perché le risposte di questa persona dipendono da tutti questi aspetti messi insiemi, mai disgiunti fra loro. Si tratterà pertanto di un approccio multidimensionale dove dovremo lavorare insieme agli altri operatori della salute, collaborare e favorire lo scambio di informazioni, lavorare insomma in maniera integrata.
Processi assistenziali, percorsi diagnostici e terapeutici basati non solo sulle migliori evidenze scientifiche, ma che sappiano inserirsi nei diversi contesti per arrivare all’obiettivo di una presa in carico reale e sistemica. Tutto questo richiede multidisciplinarietà, punti di contatto intellettuale e culturale ed un continuo dialogo fra scienze tecniche, umanistiche e sociali.
Allora colleghi, asciughiamoci gli occhi, soffiamoci il naso e diventiamo propositivi.
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Tiziano Scarponi

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